sabato 14 aprile 2012

Quale parola scegliere per prima?



"Parlare poneva un problema di registro: quale parola scegliere per prima? Mi sarebbe piaciuto assegnare il primo posto a un vocabolo necessario come 'marron glacé' o 'pipì', oppure bello come 'pneumatico' o 'scotch', ma sentivo che questo avrebbe urtato alcune sensibilità. I genitori sono una specie suscettibile: bisogna accontentarli con quei grandi classici che li riconfermano nel loro ruolo. Io non volevo farmi notare.
Così assunsi un'aria beata e solenne e, per la prima volta, pronunciai i suoni che avevo in mente:
- Mamma!
Estasi della madre.
E siccome non bisognava offendere nessuno mi affrettai ad aggiungere:
- Papà!
Intenerimento del padre. I genitori si gettarono su di me e mi ricoprirono di baci. Pensai che non erano difficili. Sarebbero stati meno felici e deliziati se avessi iniziato a parlare dicendo: 'Per chi sono quei serpenti che sibilano sulle vostre teste?' oppure 'E=mc2':Pareva quasi che nutrissero qualche dubbio sulla loro identità: non erano forse sicuri di chiamarsi Papà e Mamma? Sembrava che avessero avuto davvero bisogno della mia conferma.
Mi congratulai per la scelta: perché complicare le cose quando possono essere semplici? Nessun'altra prima parola avrebbe potuto appagare altrettanto i miei genitori. Dopo aver adempiuto agli obblighi della buona educazione, potevo consacrarmi all'arte e alla filosofia: la questione della terza parola era molto eccitante perché dovevo tener conto solo ed esclusivamente di criteri qualitativi. Questa libertà era talmente inebriante da confondermi: ci misi un sacco di tempo a pronunciare la terza parola. I miei genitori ne furono ancora più lusingati: 'Aveva solo bisogno di pronunciare i nostri nomi. Era la sua unica urgenza'.
Non sapevano che dentro di me parlavo già da diverso tempo. E' anche vero che dire le cose ad alta voce è diverso: si attribuisce un valore eccezionale alla parola pronunciata. Si ha la sensazione che la parola si commuova, che viva la cosa come un segno di riconoscimento, si senta ricompensata o celebrata. Dar voce al vocabolo 'banana' vuol dire rendere omaggio alle banane attraverso i secoli.
Un motivo in più per riflettere. Mi immersi in una fase di esplorazione intellettuale che durò settimane. Le foto di questo periodo mi ritraggono con un viso così serio da far ridere. Il fatto è che il mio discorso interiore era esistenziale: 'Scarpa' No, non è poi così importante; si può camminare anche senza. Carta? Sì, ma penna è altrettanto indispensabile. Non c'è modo di scegliere tra carta e penna. Cioccolato? No, è il mio segreto. Otaria? Otaria è sublime, emette delle grida ammirevoli, ma è davvero migliore di trottola? Trottola è bellissimo. Solo che l'otaria è viva. Cos'è meglio: una trottola che gira o un'otaria che vive? Nel dubbio meglio astenersi. Armonica? Suona bene, ma davvero non se ne può fare a meno? Occhiali? No, esilarante ma serve a poco. Xilofono?...'
Un giorno mia madre venne in salone con un animale dal lungo collo: la coda, stretta e lunga, finiva con una presa di corrente. Schiacciò un pulsante e l'animale iniziò a lamentarsi in modo regolare e continuo. La testa si mise ad andare avanti e indietro sul pavimento, trascinando dietro di sé il braccio della Mamma. A volte, il corpo avanzava con le sue proprio zampe, che erano poi delle rotelle.
Non era la prima volta che vedevo un aspirapolvere, ma non avevo ancora mai riflettuto sulla sua condizione. Gli andai vicino a carponi per mettermi alla sua altezza: sapevo che bisogna sempre essere all'altezza di quello che si vuole esaminare. Seguii la sua testa e appoggiai la giaccia sul tappeto per osservare quanto stava accadendo. Miracolo: l'apparecchio ingoiava le realtà materiali che incontrava e le trasformava in esistenza. Sostituiva il qualcosa col niente: quella sostituzione era certamente opera divina.
Avevo un vago ricordo di essere stata Dio fino a poco tempo prima. A volte sentivo nella mia testa una voce profonda che mi sprofondava in incalcolabili tenebre e mi diceva: 'Ricordati! Sono io che vivo dentro di te! Ricordati"' Non sapevo bene cosa pensarne, ma la mia divinità mi pareva qualcosa di realmente possibile e piacevole.
Improvvisamente avevo trovato un fratello: l'aspirapolvere. Cosa ci poteva essere di più divino di questo puro e semplice annientamento? Nonostante credessi che un Dio non deve dimostrare niente, mi sarebbe piaciuto essere capace di un prodigio simile, di un compito così metafisico.
'Anch'io sono pittore!' esclamò Correggio nello scoprire i quadri di Raffaello. Presa da un entusiasmo simile, stavo quasi per gridare come lui: 'Anch'io sono un aspirapolvere'.
Mi ricordai all'ultimo momento di non esagerare con gli effetti: tutti credevano che il mio repertorio fosse di due sole parole, non potevo screditarmi snocciolando intere frasi. Ma avevo trovato la mia terza parola.
Non aspettai un secondo di più, aprii la bocca e scandii le sei sillabe: 'Aspirapolvere!'.
Mia madre, passato il primo momento di sconcerto, mollò il collo del tubo e corse a telefonare a mio padre:
- Ha detto la sua terza parola!
- Qual è?
- Aspirapolvere!

(Metafisica dei tubi, Amélie Nothomb)

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