PERCHE' ESSERE PRECARI STANCA da Rosalinda Gianguzzi
La precarietà stanca perché essere precari sul lavoro vuol dire essere precari nella vita. Vuol dire essere precari nei sentimenti: perché si ha paura di relazioni a tempo indeterminato, se non sai neanche come sarà la tua vita il mese dopo.
E se fai figli sei un incosciente, se non li fai sei il bamboccione che non vuole assumersi responsabilità.
Si perché, non se ne capisce il motivo, ma essere precari ti mette sempre sotto la lente d’ingrandimento degli altri, ed espone al loro giudizio ogni cosa che fai.
Essere precari significa che precario è il tuo equilibrio: raggiante al rinnovo, depresso e nervoso a fine contratto.
Essere precari sradica; il lavoro va rincorso, spesso con la valigia in mano.
Essere precario è ingiusto: perché anche se lavori da 30 anni, non sarai mai “l’anziano” del tuo posto di lavoro, sarai sempre l’ultimo arrivato, e così sarà il tuo stipendio, gli scatti contributivi, la considerazione di colleghi e titolari, il tuo ruolo nella“spartizione delle vesti” in termini di mansioni ed orari interni.
Essere precari stanca perché ti vergogni a dire che sei precario: perché nell’immaginario degli altri, sei il “giovane” a carico dei genitori.
Anche se sei tu ad essere genitore e se hai abbondantemente superato gli “anta”.
Perché essere precari, ti toglie spesso il gusto di volere che i tuoi genitori vivano per sempre, solo perché vuoi loro bene, e non perché altrimenti saresti spacciato.
Essere precari stanca, perchè difficilmente sarai mai padrone di una casa, come non sarai mai padrone della tua vita, eternamente in affitto di un padrone ricco.
Ed ancora essere precari è un perverso paradosso: il lavoro dovrebbe servire a dare stabilità a rendere liberi, ed invece sei sempre schiavo del capriccio di un imprenditore o governante di turno, e la stabilità spesso non arriva mai.
Essere precari stanca perché sai che vogliono fregarci: lo chiamano tempo della globalizzazione, lo chiamano nuovo mercato del lavoro, lo chiamano fine della chimera del posto fisso (in termini dispregiativi, ma a me suona benissimo), la chiamano flessibilità, meritocrazia, “solo i più bravi…”, ma non è altro che un modo come un altro per azzerare anni di lotte sindacali a tutela dei lavoratori.
Perché un precario non deve ammalarsi, fare figli, invecchiare: sono tutti privilegi per i lavoratori a tempo indeterminato.
Perché il lavoro inteso in quest’ottica è un lavoro alienante, che perde il suo ruolo di strumento di benessere per la vita dell’uomo, ma diventa il fine ultimo, e spesso anche la fine di molti lavoratori.
Perché diciamocelo, non è bello dire “sono un co.co.co”.
Perché non si dovrebbe lavorare a progetto per l’imprenditore, ma si dovrebbe lavorare al proprio progetto di vita, per renderla un “capolavoro” (Giovanni Paolo II).
Perché il Vangelo c’insegna che le leggi sono fatte per l’uomo, non l’uomo per le leggi.
Ed un uomo, cresce, invecchia, si sposa, fa figli, e il lavoro dovrebbe accompagnarlo in ognuna di queste fasi della vita.
Ed infine essere precari stanca, perché è brutto capire e sapere che ciò che volevano ottenere con la perversa invenzione del “precariato”, reso peggiore dal fatto che è ormai l’unica forma stabile di lavoro, non lo hanno ottenuto: aiutare il capitalismo.
Perché il precariato non aiuta nessuno.
Non aiuta i datori di lavoro che si precludono la possibilità d’avere persone accanto di cui fidarsi, con esperienza, gratificate, motivate ed interessate al progetto dell’azienda, ma i lavoratori diventano come passeggeri che attraversano una stazione.
Perché non aiuta il lavoratore: alienato, frustrato, perennemente in bilico, senza un preciso progetto di vita, con una reale compromissione della stessa qualità della vita, che si ripercuote sul tutto il mercato.
E infatti oggi lo dice anche Mario Draghi, e la crisi economica che stiamo attraversando è un’ulteriore prova che è un sistema fallimentare, ed anche il trovarci sui tetti, sui ponti, nelle strade impauriti ed arrabbiati.
E quindi dateci ascolto essere precari stanca!
Perché sai di essere un tassello di un domino composto da migliaia di tasselli precari.
(da
Il Manifesto)