domenica 18 maggio 2008

Una storia africana


Era notte, e tutti sedevamo davanti al fuoco per scaldarci le mani, ascoltando storie e guardando la luna e le stelle che se ne andavano. Le braci rosse del falò accendevano i nostri volti nell'oscurità e il cielo si riempiva di pennacchi di fumo. Pa Sesay, il nonno di un mio amico, quella notte ci aveva già raccontato tante storie, ma prima dell'ultima continuava a ripetere: "Questa è una storia molto importante". Poi si schiarì la gola e iniziò:
"C'era una volta un cacciatore che andò nella foresta a caccia di scimmie. Dopo pochi minuti, ecco spuntarne una, seduta comoda sui rami più bassi di un albero, che non gli prestò attenzione nemmeno quando sentì il rumore dei passi tra le foglie secche. Quando fu abbastanza vicino e nascosto dietro un albero da cui la vedeva chiaramente, il cacciatore alzò il fucile e mirò. Ma quando stava per premere il grilletto, la scimmia parlò: "Se mi spari, tua madre morirà, e se non lo fai morirà tuo padre". Poi si rimise tranquilla a mangiare, grattandosi di tanto in tanto la testa o la pancia.
"Cosa fareste voi nei panni del cacciatore?"
Io e i giovani del mio villaggio ascoltavamo quella storia una volta l'anno. Di solito la raccontava un anziano, che poneva il quesito irrisolvibile alla presenza dei nostri genitori. Dovevamo rispondere, ma nessuno ci riusciva, per paura di offendere il padre o la madre. Il narratore non suggeriva mai la soluzione. Quando toccava a me dicevo che ci avrei pensato su, ma ovviamente non era una risposta accettabile.
Poi io e i miei compagni - tutti bambini tra i sei e i dodici anni - discutevamo su quale fosse la risposta che avrebbe evitato la morte di uno dei nostri genitori. Ma la risposta giusta non esisteva. Se salvavi la scimmia, moriva qualcuno. Se la uccidevi, qualcuno sarebbe morto lo stesso.
Quella notte ci accordammo su una risposta, che però fu subito rifiutata. Dicemmo a Pa Sesay che se uno di uno fosse stato nei panni del cacciatore, non sarebbe andato a caccia di scimmie. "Ci sono altri animali che si possono cacciare".
"Non è una risposta accettabile" disse lui. "Va dato per scontato che il cacciatore abbia già puntato il fucile e debba soltanto prendere la decisione". Poi spezzò in due la sua noce di cola e ne masticò un pezzo.
All'età di sette anni avevo trovato una risposta che secondo me era molto ragionevole, però non ne avevo mai parlato con nessuno, per paura di ferire mia madre. Se fossi stato nei panni del cacciatore, avevo pensato, avrei senz'altro sparato per evitare ad altri di doversi trovare nella mia stessa situazione.

(Memorie di un soldato bambino - Ishmael Beah)

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